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Immagine del redattoreSANI E INFORMATI

CERCHIAMO DI COMPRENDERE COSA SIA LA DIETA MEDITERRANEA



Qualche considerazione


Nel 1939, il primo a intuire la connessione tra alimentazione e malattie del ricambio, quali diabete, bulimia, obesità, fu il medico nutrizionista italiano Lorenzo Piroddi (Genova 1911-1999). Considerato il "padre" della dieta mediterranea è anche autore del libro Cucina Mediterranea. Ingredienti, principi dietetici e ricette al sapore di sale.



Qualche anno dopo, dal canto suo, lo scienziato americano Ancel Keys (1904-2004) si fece promotore dell'ampio programma di ricerca noto come Seven Countries Study (studio dei sette paesi) Keys aveva notato una bassissima incidenza di malattie delle coronarie presso gli abitanti di Nicotera e dell'isola di Creta. Lo studio tra la metà degli anni ’50 ai primi degli anni 60 , basata sul confronto dei regimi alimentari di 12.000 persone, di età compresa tra 40 e 59 anni, sparse in sette Paesi del mondo (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia).


Secondo Keys, i risultati dell'indagine non lasciarono dubbi: la mortalità per cardiopatia ischemica (infarto) è molto più bassa presso le popolazioni mediterranee rispetto a Paesi, come la Finlandia, dove la dieta è ricca di grassi saturi (burro, strutto, latte e suoi derivati, carni rosse).


Oltre ai dati relativi ai bassi tassi di incidenza di eventi cardiovascolari, emerge un altro dato fondamnetale: l’assunzione calorica per le popolazioni esaminate del sud italia era mediamente di 2.500 Kcal giornaliere. Una dieta di una popolazione rurale, povera e frugale.


L’approccio metodologico di Keys , fu definito “approccio della scienza al rovescio”, ovvero parto da un ipotesi della quale sono fermamente convinto e poi cerco tutte le prove a suffragio di questa omettendo tutte le parti che in qualche modo possono inficiare questa teoria.


Non tiene però conto di altri fattori, come la forte restrizione calorica e la costante attività fisica alla quale erano sottoposte le popolazioni studiate e dunque a corredo di questo stile di vita, anche i livelli di glicemia così come la bassa pressione arteriosa, risultano molto bassi. Per non parlare dell’IMC, tutti soggetti mediamente in sottopeso, rispetto alle tabelle mediche di oggi e in costante restrizione calorica.


Considerazioni che avrebbero potuto modificare in maniera determinante il peso attribuito al colesterolo.


Insomma si preferissce prendere di mira un grasso forse perché più intuitivo pensare e far pensare all’opinione pubblica che sia un grasso ad ostruire le arterie piuttosto che addentrarsi troppo in altri meccanismi, che solo in parte si conoscevano.


Dall’ora in avanti la tesi diventa:

Colesterolo LDL basso = bassa incidenza di malattia cardiovascolari.


Solo negli ultimi anni, si è cominciato a pensare che forse vi erano altre e ben più consistenti motivazioni delle malattie cardio vascolari , rispetto al colesterolo.


Sull'American Heart Journal (gennaio 2009) è apparso uno studio che ha analizzato ben 137.000 pazienti ricoverati presso gli ospedali degli Stati Uniti con un attacco di cuore.


Ebbene, nel 63% dei casi queste persone avevano un colesterolo "normale".


Forse questo dato come moltissimi altri che stanno via via emergendo, dovrebbe far riflettere la comunità medica a rivalutare la reale portata degli effetti del colesterolo, considerando gli effetti nefasti di un colesterolo troppo basso e i scarsissimi effetti delle terapie chimiche anticolesterolemia come alcune importanti meta analisi hanno evidenziato, mettendo in luce un’associazione inversa tra uso di statine, per esempio e diminuzione degli eventi ischemici, signfica che coloro che non usano statine statisticamente subiscono meno evento miocardici rispetto a chi ne fa uso.


Questi sono i dati, epidemiologici.


Fortunamtamente il paradigma colestrolo=infarto sta per essere sostituito da zuccheri= infiammazione=eventi miocardici e vascolari, ci vorranno ancora moltianni per via delle forti resistenze delle farmaceutiche, potenti finanziatori della ricerca medica, ma credo sia solo una questione di tempo.


Le prove intanto si accumulano, e nonostante molti medici si affannino a sostenere che le prove statistiche epidemiologiche abbiamo poca importanza, i dati continuano ad aumentare mettendo in evidenza un quadro abbastanza chiaro sulla capacità proinfiammatoria dei carboidrati.


Concludo ricordardandovi che la stessa operazione di mistificazione relativamente alla presunta poca affidabilità degli studi epidemiologici, la si è fatta per decenni, negando i danni del tabacco, mettendo in campo un negazionismo “scientifico” in cui fior fior di professori facevano conferenze in tutto il mondo diffondendo il verbo, di una presunta "mancanza di prove", per condannare il fumo da tabacco.


Dunque avanti tutta ad informare e a non prendere sempre per buono ciò che la medicina (farmacocratica) continua a proporre.



Buona salute a tutti

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