Nascimben Andrea
Lo studio CARE che mostra i benefici di una prevenzione secondaria (significa per coloro che hanno già avuto un infarto) con la pravastatina in pazienti coronaropatici con tasso di colesterolo basso o elevato, e' pubblicato oggi sul NEJM.
Secondo gli autori dello studio americano, si e' dimostrato che la maggioranza dei sopravvissuti ad infarto puo' trarre benefici da un trattamento ipocolesterolemizzante.
Lo studio e' stato condotto su 4.159 pazienti infartuati, trattati con pravastatina o placebo per 5 anni, con un tasso di colesterolo inferiore a 2,4 g/l (media 2,09 g/l) e un tasso di LDL tra 1,15 e 1,74 g/l (media 1,39 g/l), al momento dell'arruolamento.
Nello studio si mette in evidenza "Una riduzione del 24% del rischio di complicanze coronariche fatali o di recidive di infarto non fatale è stata ottenuta nei pazienti trattati rispetto al placebo".
In realtà il 24% è un dato estrapolato dalla differenza che esistente tra il 10,2% (chi usa la Statina) e il 13,2% (chi assume il placebo).
inoltre lo studio riporta: "Si e' inoltre ridotta del 26% la necessita di by-pass coronarici, del 23% le angioplastiche e del 31% gli ictus", ma sempre valutando il rischio assoluto e non quello effettivo (relativo).
Leggere con molta attenzione i dati che riportano le farmaceutiche dovrebbe essere un'obbligo deontologico del medico. Purtroppo la realtà dei fatti e ben diversa.
Lo stesso studio riporta: “ Non c'e' stata differenza significativa riguardo alla mortalita' totale, e la mortalita non cardiovascolare”.
Questo significa che i pazienti che assumono le statine, muoiono percentualmente leggermente in meno per motivi cardiovascolari, ma un po' di più per altre cause, con un risultato complessivo di avere lo stesso indice di rischio di morte tra i due gruppi.
In altri due studi molto importanti, il “EXCEL” e il “ FACAPT/TexCAPS” del 2001, si sono registrate più morti complessive nei gruppi trattati con le statine (+1,5%) rispetto a quelli non trattati.
Una precedente meta-analisi del Dr Ravnskov, del 1992, pubblicata su BMJ, che riguardava 26 studi osservazionali, che valutava per 11 anni oltre 320 mila pazienti, ha mostrato un numero uguale di morti per patologie cardiovascolari sia nei gruppi che assumevano i farmaci ipolipemizzanti sia in quelli che non li assumevano (Ravnskov U. BMJ.1992;305:15-19)
Un'altra meta-analisi di tutti i più importanti studi pubblicati prima del 2000, mostra che un uso prolungato delle statine per la prevenzione delle malattie cardiovascolari causa, dopo 10 anni di assunzione, l’aumento dell’3% del rischio di morte, per tutte le cause, rispetto al placebo (. Jackson PR. Br J Clin Pharmacol 2001;52:439-46.)
Un report pubblicato dal ministero per la salute statunitense (united states department of health and human service) mette in evidenza che il 56% dei pazienti ricoverati negli USA , nel 2012, per eventi cardiovascolari, avevano il colesterolo all’interno dei range considerato fisiologico ( sotto 150 di LDL e nel totale sotto i 200 ).
Dunque perchè sono ancora in commercio sostanze di questo tipo ?
Purtroppo a tenere in vita ancora questi dannosi farmaci, sono una moltitudine di piccoli e piccolissimi studi sperimentali, diciamo fatti in casa, ovvero commissionati direttamente a moltissimi medici, i quali arruolano pochissimin loro pazienti, ma senza un protocollo in doppio cieco, ma semplicemente confrontandolo con un placebo, e con protocolli in singolo cieco (significa che il medico sa cosa sta somministrando ad ogni paziente e pertanto è maggiormente influenzabile su cosa scrivere nelle schede anamnestiche)
Sappiamo bene che questo genere di studi fanno acqua da tutte le parti, ma ad oggi grazie alle pressioni delle farmaceutiche, vengono ancora considerati studi sperimentali a tutti gli effetti e dunque posti al vertice della piramide delle Evidenze.
Se consideriamo che mediamente l'industria pubblica il 34,2 % dei propri studi e casualmente per la stragrande maggioranza dei casi (l'86%) hanno esito favorevole, mentre il risultato del restante 65,8% viene omesso, si capisce bene quanto il risultato finale potrà essere viziato nel momento in cui si andranno a fare le Revisioni sistematiche dei dati ( una sorta di grande raccolta dati). Quello che si evidenzierà sarà inevitabilmente un esito favorevole al farmaco.
Avere un atteggiamento acritico rispetto a ciò che le farmaceutiche pubblicano è un comportamento fideistico molto pericoloso.
Diffidare da un soggetto che ha interessi di centinaia di miliardi di dollari da tutelare dovrebbe essere un comportamento doveroso da parte della classe medica.
Purtroppo molte indicazioni ci suggeriscono che questo non avviene quasi mai.
Iniziare ad essere attenti alla propria salute è un diritto ma anche un dovere per ogni cittadino. Essere curiosi e alzare lo sguardo per andare oltre le soluzioni chimiche proposte in maniera protocollare dal medico, dovrebbe essere una naturale conseguenza.
Purtroppo pigrizia, poca voglia di mettersi in discussione e atteggiamento di fiducia incondizionata, portano i soliti ignari consumatori a pagarne pesanti conseguenze in termini di salute.
E' una battaglia culturale difficile da condurre, ma credo valga la pena combatterla.
Nascimben Andrea
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